1 Marzo:

Partito Comunista Internazionale 05.03.2010 11:35
Per l’unità della classe operaia al di sopra di tutte le divisioni
Il proletariato è una classe di migranti, una unica classe mondiale di sfruttati, senza patria, la cui sola vera e comune necessità è la lotta per difendere le sue condizioni di vita e di lavoro, non avendo oggi nulla da perdere, e domani un mondo intero da guadagnare.

In ogni paese la borghesia nasconde ai lavoratori questa verità chiudendo la visione dei loro problemi entro l’angusto orizzonte nazionale. I media di massa, con una cinica e ben organizzata campagna razzista, fomentano la diffidenza e l’odio fra proletari indigeni e immigrati. In questa infamia le democrazie si stanno dimostrando anche più sofisticate ed efficienti dei regimi borghesi apertamente razzisti e dittatoriali del presente e del passato.

La propaganda borghese del razzismo approfitta della concorrenza fra lavoratori immigrati e indigeni creata dalla borghesia contro la classe operaia, per dividerla, indebolirla, e meglio sfruttarla. In quanto tale il razzismo non si differenzia dagli altri mezzi di divisione che il padronato utilizza, come l’impiego di lavoratori precari, la cessione di rami d’azienda in appalto a ditte esterne, la frattura fra vecchi operai "garantiti" e giovani privi di qualsiasi protezione e previdenza, la concorrenza fra lavoratori di diverse aziende o stabilimenti ottenuta grazie al progressivo smantellamento della contrattazione nazionale.

Il razzismo perciò non è un istinto malato da cui la società borghese possa guarire, ma un frutto inevitabile delle sue condizioni d’esistenza ed un’arma nella guerra di classe del capitale al proletariato, e cesserà quindi solo dopo la presa del potere da parte del proletariato.

Per questa ragione combattere il razzismo con l’anti-razzismo, sul piano astratto delle opinioni e di valori morali, non solo è impotente, ma è dannoso. Il comunismo non sarà una impossibile mediazione inter-culturale, ma il superamento e sintesi delle antiche culture storiche dell’uomo in una forma superiore che le verrà tutte a negare.

La lotta oggi da ingaggiare è invece quella classista proletaria, che ha per obiettivo la sua unione. Suo scopo è impedire l’impiego di lavoratori a condizioni peggiori, siano esse un salario più basso, una maggior libertà di licenziamento o il vile ricatto dell’espulsione in caso di licenziamento! La vera lotta della classe operaia va a coincidere con la difesa della sua parte più debole: con ciò i lavoratori relativamente meno sfruttati tutelano innanzitutto se stessi dalla concorrenza al ribasso dei loro fratelli di classe più ricattabili.

Questi semplici e sani principi dell’azione e della lotta di classe sono stati calpestati a scala internazionale da tutto il sindacalismo di regime, che ha agito ovunque secondo il metodo diametralmente opposto: hanno attuato con Stato e padroni una tattica che ha visto prima l’attacco alle condizioni di precari, immigrati, giovani, dipendenti di piccole aziende, e subito dopo quello ad una ultima ristretta cerchia d’operai "garantiti", ottenendo così la sconfitta dell’insieme della classe operaia.

In ogni paese i sindacati ufficiali (in Italia Cgil-Cisl-Uil-Ugl, in Francia Cgt-Cfdt-Fo, in Inghilterra le Trade Unions) sono organizzazioni irreversibilmente passate dalla parte dei padroni e chi vi continua a militare con l’obiettivo di risanarle (come la sinistra Cgil) in trent’anni ha ottenuto il solo risultato di facilitarne l’azione anti-operaia con l’illusione del pluralismo interno e di ritardare e boicottare l’opera di ricostruzione di un vero Sindacato di Classe.

Ma chi oggi, prendendo a pretesto il tradimento di Cgil-Cisl-Uil, proclama di voler lottare contro il razzismo fuori dal campo della lotta sindacale, organizzando manifestazioni d’opinione interclassiste o proponendo scioperi di soli lavoratori immigrati, impossibili a realizzare e falliti in partenza, contribuisce solo ad nuovo e peggiore disorientamento e confusione.

La strada obbligata è quella della ricostruzione dell’organizzazione sindacale di classe, strutturata territorialmente come nella tradizione delle Camere del Lavoro, al di fuori delle aziende e unendo le categorie, per poter inquadrare anche i lavoratori delle piccole imprese, che si muova secondo i principi della lotta di classe. Un movimento che, per esempio, non prenda le distanze ma faccia proprie le rivolte come quella dei braccianti di Rosarno e la loro sacrosanta reazione alle fucilate padronali, e che si ponga seriamente l’obiettivo di un movimento di lotta sempre più vasto e che culmini nello sciopero generale per imporre i veri obiettivi immediati della classe operaia:

- riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario!
- salario garantito ai lavoratori disoccupati!
- aumenti salariali, maggiori per le categorie peggio pagate!
- diritti di cittadinanza ai lavoratori immigrati!






Per l’unificazione delle lotte!
Per la difesa del salario, non delle aziende!

La crisi economica del capitalismo continua ad aggravarsi, e peggiorano duramente le condizioni di vita della classe lavoratrice. La crisi non è passeggera, ma storica: è una irreversibile crisi di sovrapproduzione. Il capitalismo è ormai decrepito, saturo di merci e capitali, e non esiste politica borghese, di destra o di sinistra, che possa rimediare a questo fatto ineluttabile.

La sola risorsa a disposizione della borghesia per mantenere il suo regime economico e i suoi privilegi è quella di aumentare lo sfruttamento del proletariato: diminuire il numero dei lavoratori attivi, ingigantire la disoccupazione, abbassare i salari, esasperare l’intensità del lavoro.

Ma questo non risolve la crisi, che è solo dilazionata e resa più generale: come fu nella prima metà del Novecento, la temporanea soluzione per il capitalismo sarà una nuova guerra mondiale, per la distruzione delle merci e dei capitali in eccesso, un rito di morte necessario a questo infame sistema economico per mantenere in piedi il suo cadavere, che ormai appesta il mondo intero.

La classe lavoratrice può e deve opporsi fin da oggi a questa prospettiva ed iniziare a incamminarsi sulla strada della successione storica al capitalismo, nel vortice della sua crisi: l’emancipazione dal lavoro salariato, il Comunismo.

Ma per decenni la politica borghese dei sindacati di regime (Cgil-Cisl-Uil-Ugl) ha diseducato i lavoratori a lottare e li ha convinti che solo attraverso la "concertazione" e la "collaborazione" con i padroni fosse possibile ottenere almeno un effimero "benessere". Oggi che il capitalismo sta mostrando il suo vero volto, precipitando nella miseria milioni di lavoratori, la classe operaia non sa come reagire. Essa è oggi come un bambino che deve imparare a camminare, ed è naturale che inciampi anche negli ostacoli più grossolani.

La borghesia alterna il bastone alla carota: da una parte poliziotti e tribunali sono pronti ad intervenire nei casi in cui i lavoratori si mostrano più combattivi, nello stesso tempo si illude la classe con gli "ammortizzatori", si concede un po’ di cassa integrazione, si scaglionano dismissioni e licenziamenti, si fanno false promesse di rilancio aziendale.

A questo fine il padronato si appoggia agli attuali falsi sindacati, traditori degli interessi della classe operaia, e ai falsi partiti operai. Questi sindacati e partiti di regime fanno leva sulla impreparazione e sulla ingenuità della maggioranza dei lavoratori per mantenerli isolati all’interno delle proprie aziende, facendo apparire ogni singola lotta un caso da affrontare e risolvere a sé.

Anche in Italia sono centinaia le aziende in cui i lavoratori devono affrontare la chiusura, i licenziamenti, i peggioramenti salariali e normativi. Ma ogni singola lotta avviene e si sviluppa entro i confini aziendali, separata e opposta alle altre. E per il padronato è una questione vitale mantenere divisi i lavoratori, perché più impedisce e ritarda la reazione organizzata della classe operaia, più è libero di peggiorarne le condizioni a vantaggio dei profitti aziendali e del capitalismo in generale.

La realtà è invece opposta. Se è vero che ogni azienda ha le sue peculiarità è altrettanto vero che non è la malvagità o l’incapacità del singolo padrone ma la crescente crisi mondiale del capitalismo che spinge il capitale in tutti i paesi a misure sempre più estreme contro i lavoratori. Al di là dei casi singoli l’obbiettivo che unisce tutti i lavoratori, quelli che temono per il loro posto di lavoro come quelli che sono stati licenziati, i precari come i lavoratori fissi, i vecchi come i giovani, è la difesa del loro salario, indispensabile per vivere in questa società.

Il sindacalismo di regime invece – con la Cgil in testa e la sua “sinistra” allineata – sottomette la difesa del salario alla difesa del posto di lavoro. Condiziona la vita della classe operaia alla buona salute del Capitale. Si chiedono così quattrini per i padroni perché tengano aperte le aziende, perché non licenzino, ma ci si guarda bene dal garantire un salario ai licenziati; si dà la parola d’ordine della “difesa del posto di lavoro” o del “blocco dei licenziamenti”, ma ci si guarda bene dal rivendicare un salario ai lavoratori disoccupati.

Indirizzate invece alla “difesa del posto di lavoro” le maestranze, chiuse all’interno dell’azienda, saranno disposte a sopportare ogni sacrificio pur di mantenere in vita la macchina stessa che li sfrutta, come già avviene in alcuni casi (Eutelia) in cui i dipendenti continuano a recarsi quotidianamente al lavoro senza percepire lo stipendio. Di fatto si mettono così i lavoratori di un’azienda in diretta concorrenza con quelli delle altre del settore.

Il capitalismo domani avrà sempre maggiore difficoltà a mantenere in vita la sua struttura produttiva. I lavoratori devono quindi lottare in difesa della propria vita noncuranti della sopravvivenza del capitalismo stesso e della sua cellula produttiva, l’azienda. La classe operaia deve tornare a rendersi non responsabile e nemica di questo regime economico. Sempre più si dimostra che la vita della classe operaia, in realtà, è possibile solo distruggendo il Capitale.

Oggi, per uscire da questa grave contraddizione, è necessario intraprendere un percorso tendente alla ricostruzione dell’organizzazione sindacale di classe. Sarà questa necessariamente fuori e contro i sindacati di regime, ormai irrecuperabili; sarà strutturata verticalmente per categorie, ma anche territorialmente, come nella gloriosa tradizione delle Camere del Lavoro, per unire i lavoratori delle aziende grandi e piccole; tenderà ad un coordinamento nazionale ed anche alla solidarietà internazionale del movimento; considererà strumento più efficace di lotta lo sciopero generale, per avanzare le rivendicazioni veramente unificanti di tutta la classe che lavora:

- Salario garantito ai lavoratori disoccupati!
- Riduzione dell’orario a parità di salario!
- Aumenti salariali, maggiori per le categorie peggio pagate!
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